LA STORIA DEL BOSCO DI VILLAFLOR

“Campidanus de Mills, regio campestris. . .frugifera, et pascuis satis idonea, ingentique sylva malorum aureorum, ci—tronum er limonum. . .nobilitata florumque adore suffusa”

La citazione del brano della Corographia Sardiniae di Francesco Fara, insigne storico dell’isola di Sardegna che scriveva nella II metà del sec. XVI, fornisce una chiara indicazione della considerazione in cui da sempre è stata tenuta, nella storiografia sarda, la zona della Vega di Milis, all’estrema propaggine settentrionale delia pianura del Campidano, nell‘Alto Oristanese.

Vega è termine derivante dallo spagnolo, col quale si intende un’ampia distesa di terreno pianeggiante, ricca di coltivazioni e di acque irrigue; definizione che si attaglia perfettameme alla vasta fascia di territorio posta immediatamente a sud della catena montuosa del Montiferru e da questa bien riparata dai impetuosi venti di nord-ovest, dominanti in Sardegna.

Si estende, tale territorio, per una lunghezza di circa Otto chilometri e per una profondità di circa due, seguendo il corso del fiume Rio Mannu, e gode dei vantaggi di un clima temperato, non eccessivamente caldo nei mesi estivi;

L’area e ricchissima di acque sorgive canalizzate in  tanti piccoli rii che intersecano la Vega andando a confluire nel  Rio Mannu e garantendo un sufficiente tasso diumidità, indispensabili per le fitte colture di agrumi che caratterizzano il sito.

A testimoniare la persistenza storica dell’intensivo e razionale sfruttamento della zona fin dal periodo delle donazioni effettuate da giudici e donnos locali in favore dei monaci di Camaldoli, stanno diverse emergenze di interesse storico ed ambientale: la più importante fra tutte è sicuramente la Chiesa di San Paolo, sita poco fuori il margine meridionale dell’abitato, prossima alla località dove sorgeva probabilmente la chiesa di S. Giorgio di Calcaria (da cui il toponimo Craccargiu che tuttora indica la zona)

La bella chiesa di S.Paolo, monumento insigne del romanico nell’isola dal paramento in conci dicromi a filari alterni, fu edificata in due diverse fasi: il primo impianto fu realizzato intorno al quinto decennio del XII sec. mentre la fase conclusiva è stata situata tra la fine del 1100 ed il primo trentennio del 1200. E’ senz’altro da mettere in relazione con la presenza monastica nel luogo, pur se di essa non si trova traccia nelle fonti del tempo ed particolare nel Condaghe di S. Maria di Bonarcado.

Diversi portali settecenteschi d’accesso ai fondi agricoli mostrano caratteri di ricercatezza formale e talvolta tipologie e dimensioni più chiaramente monumentali

Come nel caso del portale propr. Mastino, 0 di quello del fondo Zaliras o Zalidas, o del neogotico portale del Bosco di Villa Flor.

Ancora, di notevolissimo interesse sia architettonico che ambientale, è la cosiddetta Villa Pernis, edificata nei primissimi anni dcl Novecento con l’intento di fame un

moderno centre di incremento ippico, dominante la circostante estensione della Vega con l’imponente torre quadrangolare.

Dal punto di vista della persistenza storica toponomastica tuttavia, il sito che: più convincentemente offre testimonianza del secolare impianto produttivo della Vega è senza dubbi il “Bosco di Villaflor (romantico appellativo ottocentesco di di questo vasto fondo di circa 5 ettari e tutto coltivato ad aranceto) ma la cui significativa denominazione popolare  è tuttora S’Ortu de is Paras, l’l’orto dei frati.

Si tratta di uno dei primi insediamenti dei monaci camaldolesi di S. Maria di Bonarcado in agro di Milis a cavallo tra il XII e il XIII sec., rimasto sostanzialmente immutato nei secoli.

Cinto da vetuste e rigogliose siepi di alloro e delimitato a sud-est da un piccolo e pittoresco corso d’acqua, affluente del Rio Mannu, presenta al suo interno alcuni interessanti manufatti: un ponte sul predetto rio, in laterizi con alte spallette e pavimentazione a selciato; una singolare costruzione di ridotte dimensioni con copertura a capanna, ad unico ambiente interno con piano di calpestio in acciottolato e grande camino; l’esterno e’ a filari dicromi in pietra trachitica del luogo e richiama esattamente il parametro del grande portale d’accesso, terzo elemento di interesse architettonico.

E’ assolutamente improponibile l’identificazione, secondo la tradizione locale, di tale costruzione con un ipotetico locus camaldolese, edificato cioè dai frati come punto d’appoggio per la bonifica e la colonizzazione del luogo e ciò per evidenti motivi di tecnica costruttiva e di utilizzo dei materiali; viceversa con la vicinanza con il neogotico portale- fatto edificare dai marchesi Boyl, proprietari di questo e di altri vasti appezzamenti nel territorio di Milis fino al 900. Suggerisce una consimile dotazione anche per la casetta rustica, la cui semplicissima e rigorosa struttura rimanda semmai ad una volontà di imitazione, tutta romantica, della semplicità e del rigore tipici dell’edilizia benedettina con un esplicito riferimento al pittoricismo cromatico della vicinissima chiesa di S.Paolo.

il fascino particolare del bosco di villaflor che si configura come un vero e proprio parco storico ed ambientale per il quale la sovraintendenza ai Beni A.A.A.S. di Cagliari ha adottato i provvedimenti di tutela previsti dalla legge 1089, vincolandone l’intera estensione. 

Secondo la documentazione storiografica l’introduzione delle colture secializate  degli agrumi nella zona di Milis deve attribuirsi ai monaci camaldolcsi soprattutto nelle domus o curtes di S.Giorgio di Calcaria e S.Pietro di Milis Piccinnu, mentre nel resto dell’lsola gli agrumi si trovavano in coltura promiscua, sopratutto con meli e fichi.

Fra le fonti principali su cui basare un’analisi suficiememente esaustiva dell’importanza e feracità della Vega 'di Milis deve essere citato soprattutto il Condaghe di S. Maria di Bonarcado.

Il Condaghe riporta la trascrizione, in un latino poco ortodosso  ricco di termini dialettali, di una serie di atti, testimonianze della vita religiosa, economica e politica del monastero.

In particolare la coltivazione dcgli agrumi viene espressamente citata nella scheda n.134 del Condaghe, laddove si dice:

“Ego Bonizo peccator, monachus et priore sancte Mariae de Bonarcatu ki fazo custa carta. . .comporei fundamentu in sanctu Iorgi de Calcaria et posi ad ortu de cedru et de omnia pomu. . 

nonché in molte altre citazioni di acquisti e scambi di molti siti per la maggior parte apud o post monasterium.

Nella scheda n.196 un priore non identificabile, scambiava alcuni terreni di proprietà dell’Abbazia con un “

...ortu de su mulinu, cun omnia cantu at, terra at frutu et arbores..";

L’informazione risulta particolarmente significativa nell’identificazione

del sistema di irrigazione adottato dai monaci soprattutto se la si affianca alla n.146, datata a1 1147, che, nell’elencare i confini di un appezzamento che viene donato ai

monaci, recita  “…daue su vadu dessu giradoriu dessu molinu in co collat su suflumen usque a ban de canales. .

". . .dal guado della ruota del mulino nel quale sale il fiume fino al guado del canale...”); ri

sulta evidente quindi come le colture locali venissero irrigate già nel XII sec., con l’ausilio della ruota idraulica.

La vita dall’Abbazia e quindi delle terre ad essa pertinenti, continuo nella prosperità ancora per parecchi secoli, tanto da poter venire in aiuto nei momenti di difficoltà allo stesso monastero di S. Zeno di Pisa, pagandone i debiti e i restauri della chiesa.

 

Dopo il 1652 l’amministrazione dell’abbazia di Bonarcado passo all’arcivescovo di Sassari, con la qualifica di economo, per cui le ancora congrue entrate finirono nellecasse della Curia Turritana.

Risalgono a questo periodo la citazione in termini elogiativi dei fiorenti agrumeti di Milis fatta da F. Vico nel 1639 nella sua Historia

General de la Isla y Reyna de Sardena e di poco precedente e’ la Relación al Rey don Felipe nuestro por el doctor Martin Carrillo che nel 1612 visitando l’Isola esprimeva la sua ammirazione per la Vega in questi termini: “Hay un llano entre Oristan y Milis de largo y hancho de mas tre millas, todo lleno de naraines. . .en tiempo de laflor hhay tanta amenidad y fragancia, que sente mas de dos leguas el olor. . .”.

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Nel 1763 Carlo Emanuele III, dopo un lungo periodo di vacanza della sede, nomino finalmente un priore  per Convento, ma i possedimenti di quest’ultimo erano ormaidivisi tra la Curia di Oristano ed i privati.

Nel XIX sec. e testimonianze sulla Vega sono essenzialmente di natura descrittiva e si debbono a quei viaggiatori the percorsero l’Isola alla scoperta di un mondo del tutto ignoto e che descrissero spesso con accenti entusiastici la bellezza e la feracita del sito.

 

 1838:  Antoine Claude Pasquin Valery, bibliotecario di Versailles

 

 “Nel primo giorno di maggio, con un tempo magnifico, ho visitato i giardini o piuttosto la foresta d’aranci di Milis, ornamento della Sardegna coi suoi cinquecentomila e più alberi, il cui avvicinarsi si è annunciato da una brezza profumata. Circondato da colline che lo riparano, questo Bosco, che ho percorso per più ore sotto un’ombra deliziosa, era allora animato dal canto degli uccelli e dal mormorio di mille ruscelletti che irrigano le radici di questi alberi sempre assetati. Uno strato spesso di fiori d’arancio copriva il suolo; io camminavo, sdrucciolavo su questa neve odorante.

Le erbe aromatiche mescolavano un gradevole e forte odore con quello più soave dell’arancio. L’abbondanza dei frutti è prodigiosa: qualche volta son necessari lunghi pali per sostenere i rami che si piegano sotto il peso degli aranci e dei limoni.

I frutti ammontano, nelle annate medie, e non meno di dieci milioni: si rimane abbagliati da tutti questo globi rossi e dorati, ardente vegetazione sospesa in festoni e ghirlande.

"O mia cara arancera di Versailles, monumento del gran secolo, con i tuoi bacini di marmo, con le tue superbe gradinate, con le ammirabili volte, capolavori di costruzioni degne dell’architettura romana, con tutta la tua reale magnificenza, come eri lontana degli incanti prodigati dalla natura alla vallata solitaria di Milis!”